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Castelfranco Veneto tra '500 e '800

testo di Giacinto Cecchetto

Il Cinquecento

Dopo la guerra di Cambrai (1509-1517), accertata l’obsolescenza del castello come macchina militare, perché inadeguato alle nuove tecniche di guerra, Castelfranco rinasce ad una dimensione civile ed economica senza precedenti. Il mercato conferma ed incentiva il proprio ruolo di motore d’un intenso sviluppo complessivo, particolarmente evidente, lungo tutto l’arco del secolo XVI, nel tessuto edilizio urbano, ove si procede, per iniziativa sia comunitaria che privata, ad una profonda riqualificazione strutturale degli edifici pubblici e civili ad uso abitativo, come pure alla creazione di nuovi e numerosi spazi destinati al commercio e delle lavorazioni artigianali (circa 150 sono le botteghe censite negli anni ’50 del secolo e 5 i mulini installati sulla roggia Musonello). E’ proprio grazie al mercato che il fulcro sociale ed economico della città si sposta definitivamente. Se, infatti, nel  castello si concentrano e si vivono, in edifici ad alto potenziale simbolico, come la torre civica, il palazzo pretorio, il Monte di Pietà, la chiesa di S. Liberale, i momenti più significativi della vita politica e religiosa, è nella piazza del mercato, dove dal 1420 la loggia dei grani funge da centro di scambi, e nella  Bastia orientale, ordinata su due quinte di edifici tra loro paralleli (la Bastia vecchia - di impianto medievale, e la Bastia nuova), che l’organismo urbano in evoluzione individua definitivamente, già nella prima metà del sec. XVI,  la propria centralità funzionale. Non casualmente, dunque, in questi due comparti le maggiori famiglie cittadine costruiscono ex-novo i loro palazzi o soprelevano dimore preesistenti,   ornandone le facciate e gli interni con apparati decorativi e figurativi in affresco, testimonianze esibite di potere e di ricchezza nei luoghi ove maggiore è il concorso di popolazione durante i mercati ed il transito di convogli da e per Venezia.

Della rapida e radicale trasmutazione cinquecentesca è il manufatto del castello a subire, per primo, gli effetti. Tratti di mura, porte, terrapieni e fossato sono oggetto di concessione d’uso o messi in vendita dalla Repubblica di Venezia per ripianare le enormi spese sostenute e nel conflitto di Cambrai, oppure, come per la torre di porta Cittadella nel 1552, si constata passivamente il decadimento o addirittura il crollo di segmenti dell’antico apparato difensivo. Le situazioni emblematiche di tale processo di dismissione della fortezza medievale dalle sue funzioni originarie appaiono numerose. Significative tra esse: l’acquisto, nel 1546, del rivellino della torre maggiore, da parte del fabbricante di berretti Bernardo Alabardi, che lì costruisce la propria dimora (poi proprietà Piacentini);  la costruzione della casa Barbarella (ora sede del Conservatorio musicale) a ridosso della cortina di settentrione, nel quartiere del Musile, sulla quale, a fine secolo, si apre una porta, analogamente a quanto si verifica, nel 1553, per una casa di Domenico Riccati, nel quartiere di Montebelluna. 
La cinta muraria non è ormai altro che un semplice diaframma tra il nucleo abitato interno e le bastie. Solamente la torre civica, per l’orologio e la campana comunale che vi sono installati, e la torre da morto, per la sua funzione di  campanile “aggiunto” della chiesa di S. Liberale, si salvano, per le manutenzioni cui sono fatte oggetto, da un generalizzato processo di degrado e di indifferenza che colpisce l’intera struttura fortificata.
Nel Cinquecento, l’interno del castello, sia urbanisticamente che fiscalmente, è suddiviso in quartieri. In quello di Campane o di Montebelluna (settore nord-orientale) spiccano, tra le numerose case da muro coperte de copi, le case grandi, di notevole sopraelevazione, degli Almerigo, dei Piacentini, e dei Savio.  Nel quartiere della Mestrina (quadrante sud-orientale), è situata la casa Marta (nella quale, all’inizio del sec. XVI, Giorgione affresca a chiaroscuro il notissimo Fregio), mentre in quello della Fornase (quadrante sud-occidentale) sorge la casa presbiterale. Interessante il comparto del Musile  (settore nord-occidentale) dove, oltre alla ricordata casa dei Barbarella, è insediata, quasi a ridosso delle mura, la casa dei Costanzo  (committenti della Pala di Giorgione), tradizionalmente identificata come prima sede del governo cittadino in epoca medievale.
Nei pressi dell’incrocio tra i due assi stradali interni alla cinta muraria sono collocati il palazzo podestarile, o pretorio, costruito all’inizio del sec. XV, ed il Monte di Pietà (riedificato intorno alla metà del secolo), oltre il quale, sul sito dell’attuale piazzetta Duomo, si erge la chiesa romanica  detta di dentro.
Sulla piazza del mercato, alla sua estremità occidentale, si affacciano, tra le altre, la casa dominicale, con brolo, degli Spinelli e l’edificio cinquecentesco, affrescato in facciata, dell’Hosteria alla Spada, proprietà della famiglia Piacentini.
Dei due allineamenti di fabbriche della Bastia orientale, è sicuramente quella antistante le mura a documentare il censo dei cittadini castellani, in particolare delle famiglie Pulcheri (palazzo ora Bordignon Favero), Novello, Guidozzi (ambedue ora Banca Popolare di Castelfranco Veneto) e Bovolini (ora Pinarello).
Memoria della vetustà della Bastia detta, per l’appunto, vecchia, perché edificata già agli inizi del sec. XIII,  sono l’antico ospedale per i poveri di S. Giacomo, eretto nei primi anni del ‘200, l’omonima chiesa e convento dei Serviti (giunti a Castelfranco intorno al 1390).
Nel Borgo di Treviso, oltre al convento dei Cappuccini, costruito a spese della Comunità tra il 1574 ed il 1580 sulla sponda sinistra dell’Avenale-Musonello, dominano i palazzi dei Piacentini e dei Colonna. Ai margini del Borgo, nella contrada del Paradiso, si colloca il palazzo dei Corner, già proprietà Morosini, corredato di brolo, peschiera, colombara e rusticali. Negli ultimi decenni del sec. XVII  (posteriormente al 1660), l’impianto delle fabbriche Corner e delle adiacenze subirà una radicale riorganizzazione con la costruzione d’un palazzo gemello del precedente, ristrutturato, e l’allestimento di un vasto e raffinato giardino all’italiana, coronato da peschiera e cedrare.  Ancora per iniziativa del governo comunitario castellano, come già era stato per i Cappuccini, nel 1614 si provvederà ad erigere, di fronte al “Paradiso” Corner, il convento dei Francescani Riformati.
Ai margini della strada del Borgo della Pieve si dispongono edifici di modeste dimensioni, con l’eccezione della casa dominicale granda dei Soranzo (distrutta), nei pressi dell’antica via Diana, e, dirimpetto alla chiesa di S. Maria Nascente, del convento dei Minori Conventuali, di fondazione trecentesca.
 Il quinto impianto monastico di cui si dota Castelfranco è quello del Redentore e di S. Chiara, nel Borgo Allocco (comparto urbano posto a sud del castello), la cui costruzione risulta perfezionata nel 1598.


Il Settecento

Nel corso del secolo XVIII, la città vive la stagione culturale più viva dell’intera sua storia, con effetti inalterabilmente incisivi sul tessuto edilizio cittadino, in punti nodali e particolarmente sensibili. Alla statura intellettuale del conte Jacopo Riccati (1676-1754) ed alla capacità di elaborazione progettuale di Francesco Maria Preti (1701-1774) si deve un vero e proprio “ripensamento” della città, sul piano dell’identità e dell’autonomia politica ed economica nei riguardi della fondatrice Treviso, ma, soprattutto sul piano urbanistico, ove si pianificano e si attuano innesti e rimodellamenti, talora causa, talaltra premessa, della scomparsa irreparabile di memorie architettoniche, pittoriche ed epigrafiche del periodo medievale e dei secoli XVI e XVIII.

Le nuove opere edilizie di più rilevante impatto, ovvero il nuovo Duomo ed il Teatro Accademico, sono concentrate nell’area centrale del castello, della quale si  rivoluzionano l’impianto e gli equilibri. 
Nel 1723, demolita l’antica chiesa romanica, orientata in senso est-ovest, inizia l’edificazione di un nuovo, monumentale tempio, disposto con asse nord-sud. Il progetto, affidato in origine a Giovanni Rizzetti, passa poi Francesco Maria Preti, appena ventiduenne, che del Rizzetti è l’allievo. Jacopo Riccati e lo stesso Preti fanno parte d’una specifica Deputazione designata dal governo cittadino per vigilare sulla fabbrica della nuova chiesa, nel cui cantiere si profondono cospicue somme di pubblico denaro, assegnandosi alla chiesa valori simbolici travalicanti la mera dimensione religiosa. L’enorme volume del duomo castellano, che sarà aperto al culto solo nel 1746, privo dell’atrio e della facciata, esige lo sfondamento delle mura di meridione per inserirvi l’abside, la menzionata distruzione della vecchia chiesa di dentro, lo scardinamento del tessuto viario ed edilizio sulla linea di contatto fra i quartieri della Fornase e della Mestrina, ma, soprattutto, pone le premesse per l’abbattimento (1825) del cinquecentesco palazzo del Monte di Pietà, che si viene a trovare intercluso tra la fabbrica del Preti ed il palazzo pretorio. D’altro canto, si prelude ad un nuovo spazio urbano, la piazza, che, agli inizi dell’800, rapporterà metaforicamente, facciata verso facciata, la sede del potere civile locale (il Municipio) ed il luogo in cui la comunità castellana vive ed esprime la propria religiosità.
Nel 1754, ancora su progetti del Preti risalenti al 1745, si mette mano alla costruzione di una Sala per le Accademie, oggi nota come Teatro Accademico, fortemente voluta dal figlio di Jacopo Riccati, Giordano.  Il brolo del palazzo pretorio, donato dal Senato Veneto alla Comunità castellana, è il luogo prescelto per situare l’edificio, destinato ad ospitare accademie letterarie e musicali. Analogamente al Duomo, il Teatro rimane incompleto di atrio e facciata, presumibilmente per la morte di Jacopo (1754) e per il trasferimento quasi definitivo di Giordano Riccati a Treviso, dove la famiglia disponeva di un palazzo, in contrada dei Santi Quaranta.
Un terzo progetto del Preti, l’Ospedale, prende forma tra il 1760-1761, nella Bastia Vecchia, dove si abbattono alcune delle modeste case, da secoli adibite ad ospedale,  addossate alla chiesa di San Giacomo, e si programma l’innalzamento d’una costruzione che avrebbe dovuto occupare il fronte meridionale dell’attuale via Riccati, dall’incrocio con l’odierna via San Giacomo, sino al ponte sul Musonello. La sopravvenuta disponibilità del convento dei Cappuccini, soppresso nel 1769, indusse gli amministratori del Pio Ospedale a ripiegare verso una soluzione meno dispendiosa e magniloquente di quella prevista dal Preti, allocando le attività assistenziali e di cura d’un numero sempre crescente di poveri e di malati in una struttura già di proprietà pubblica e bisognosa solo di limitati riassetti. Dei disegni pretiani si realizzò unicamente il corpo occidentale dell’Ospedale, posto all’angolo tra le vie S. Giacomo e Riccati.
Altri significativi episodi di innovazione nel tessuto edilizio, sono identificabili: nella ristrutturazione (1728 circa) del complesso conventuale dei Serviti (chiesa e chiostro), su progetti dell’architetto veneziano Giorgio Massari; nella demolizione (1786) del trecentesco convento di S. Antonio, in Borgo della Pieve, già soppresso nel 1769;  nell’avvio (1777) del cantiere della nuova chiesa della Pieve, su progetti di Giordano Riccati (il completamento avverrà solo nella prima metà del sec. XIX).

L’Ottocento

  Il conformismo politico ampiamente diffuso a Castelfranco  Castelfranco durante  la dominazione austriaca (1815-1866), non impedisce la ripresa  d’un’intensa attività edilizia. Ma la rigidità del disegno urbanistico di Castelfranco è tale da resistere ad una lunga e, talora, traumatica sequenza di nuove opere, soprattutto pubbliche.
   Già nel 1818 si intraprende un primo restauro del quattrocentesco palazzo pretorio (divenuto sede del Municipio), definitivamente spogliato nel 1797 di tutte le iscrizioni e gli stemmi in pietra  del periodo veneziano. Nel 1825, a conclusione d’un lungo processo di riorganizzazione urbanistica del settore centrale del castello, viene demolito il palazzo del Monte di Pietà, giustapposto al Municipio. Contestualmente si colloca l’istituto di pegno all’interno d’una casa Riccati, posta sul fianco occidentale del chiesa di S. Liberale, opportunamente ampliata e sopraelevata nelle forme progettate dall’ingegnere civile Luigi Benini. Alla metà del secolo (1853-1856), su disegni dell’ingegnere Antonio Barea, i palchettisti del Teatro Accademico provvedono ad integrare l’edificio con atrio e facciata. La cura delle strade urbane ed extraurbane, tipica dell’età austriaca, produce (1844-1859), ancora su progetti del Barea, la pavimentazione in selciato delle strade delle Bastie, del Borgo di Vicenza e del Borgo di Treviso (sino all’altezza del palazzo Colonna). La copertura in trachite dei marciapiedi del centro, sempre di quegli anni, anticipa di poco una rilevante opera di arredo urbano tra il ponte dei Beghi (collegante il castello con la piazza del mercato) e la piazza delle Legne. Si tratta del passeggio dedicato a Dante, in occasione del Sesto Centenario della nascita, eseguito nel 1865 e successivamente coronato da statue. Nello stesso anno si amplia il Monte di Pietà, su progetto dell’architetto Michele Fapanni, cingendo, con due ali laterali ed un braccio trasversale di collegamento, il brolo della casa già Riccati. Infine, della torre civica si restaurano, nel 1858, le merlature, la cella campanaria e l’ottagono sovrastante, coerentemente con la foggia assunta dal segmento sommitale del manufatti a seguito dei lavori di ripristino conseguenti al terremoto del 25 febbraio 1695.
  Il solo cantiere privato degno di nota è sicuramente quello del palazzo che, nel 1853, il conte Francesco Revedin inizia a costruire nel Borgo di Treviso, sul sito originario del “Paradiso” Corner, distrutto dagli stessi Revedin nei primissimi anni del secolo. Il progetto, dell’architetto Giovanni Battista Meduna, prevede pure la creazione d’un parco-giardino all’inglese su 80.000 metri quadrati, che sarà completato nel 1878, con integrazioni progettuali di Marc Guignon ed Antonio Caregaro Negrin.
  In tale fervore costruttivo, la città sembra, tuttavia, dimenticare le sue antiche mura medievali. Sfuggite alla demolizione, ipotizzata nel 1798, e passate nella proprietà civica intorno al 1824, crollano (gennaio 1847) a meridione della torre civica e subiscono devastanti demolizioni (1848) tra la torre di sud-ovest e la torre da morto. [Corre il 1858, quando l’ingegnere Antonio Barea dipinge a tinte fosche lo stato conservativo della cinta muraria, dei terrapieni e del fossato: “Gli spalti di terra che difendevano la base delle mura sono stati per la maggior parte spianati e la terra fu tradotta o a colmare le troppo larghe fosse [...] per renderle coltive, o disposta a scaglioni per formarne ortaglie; alla parte interna dello stesso, di più sono state appoggiate alle mura delle fabbriche, aperti in essa parecchi fori, scalzata la sua base e incavate delle nicchie, per convertirne lo spazio in latrine, forni, porcili ed altro, mentre altri tratti si andarono sottigliando o distruggendo a poco a poco vergognosamente per ritrarne un qualche utile dalle loro pietre”.]

  Dopo l’Unità (1866), il Quarto Centenario della nascita di Giorgione (1878) fa scoccare la scintilla d’un vasto processo di rinnovamento urbanistico. Il 5 ottobre, una statua raffigurante Giorgione (opera dello scultore veneziano Augusto Benvenuti) viene collocata sopra un isolotto creato artificialmente entro il fossato. La torre di nord-est, le mura ed un settore del terrapieno sistemato a giardino pubblico dal vicentino Antonio Caregaro Negrin fungono da sfondo per il monumento dedicato al più famoso tra i cittadini di Castelfranco.
  Ancora nel 1878 si avvia la costruzione del nuovo Municipio (su progetti dell’ingegnere civile Morando Dolcetta), che ingloberà, cancellandone ogni memoria visibile, quel che rimaneva del palazzo podestarile, stilisticamente e funzionalmente inadeguato a rappresentare la nuova Castelfranco italiana. Nello stesso anno (disegni di Antonio Barea) il Comune edifica il carcere mandamentale (demolito nel 1974), sul brolo retrostante il Teatro Accademico, ed approva il progetto delle scuole comunali, in via Riccati, che occuperanno, con la loro mole ingombrante, l’area destinata un secolo prima all’Ospedale di F. M. Preti.
  La crescita economica e la modernizzazione della città, incentivate dall’istituzione, nel 1869, della Banca del Popolo (ora Banca Popolare di Castelfranco Veneto), prende ulteriore slancio, dal 1877, con la costruzione della linea ferroviaria Treviso-Vicenza (e di una prima, piccola stazione), cui seguirà nel 1884, la Camposampiero-Montebelluna. In questi anni, si pongono i presupposti per trasformare Castelfranco nel punto di convergenza degli assi ferroviari del Veneto centrale, causando, nel contempo, il contenimento dello sviluppo urbanistico verso sud.
  Nell’ultimo scorcio del secolo (1893), il Duomo pretiano, privo di facciata da oltre 150 anni, viene portato a definitivo compimento. Qualche decennio avanti, l’attigua torre da morto, del sec. XIII, era stata sopraelevata con l’aggiunta della cella campanaria.
  Dalla vittoria alle elezioni comunali del 1905 dello schieramento liberal-democratico, scaturiscono nuove energie intellettuali e politiche, portatrici di interventi pianificatori su ampia scala, che, particolarmente nel 1908, modificano vasti comparti dei settori posti ai margini occidentale e meridionale del nucleo storico. La volontà di industrializzare Castelfranco, espressa dalla giunta del sindaco Albino Bossum allo scopo di sottrarre la città dalla sua secolare dimensione di centro mercantile e di riferimento della campagna circostante, porta all’insediamento, a sud della linea ferroviaria per Vicenza, del primo, vero impianto industriale, la F.E.R.V.E.T (Fabbrica e Riparazioni Vagoni e Tramway), cui si affianca, lo stesso anno, nei pressi della stazione ferroviaria il Cotonificio Paolo Viganò. Sempre del 1908 è l’apertura della ferrovia Venezia-Trento, che incrocia sul nodo castellano, e del 1912 il restauro e l’ampliamento della stazione. Dinanzi a questa si traccia un ampio viale che, prospetticamente, inquadra la facciata del palazzo Revedin in Borgo di Treviso, fungendo, soprattutto,  da asse di riferimento per il primo quartiere residenziale estraneo all’originaria partizione urbanistica in bastie e borghi. Non mancano nel fitto catalogo di opere pubbliche che caratterizza l’inizio del secolo attuale, le ristrutturazioni e gli ampliamenti di immobili pubblici già destinati ad usi educativi e sanitari: nel 1908, l’Asilo infantile cittadino, dedicato al re Umberto I, e nel 1910, l’Ospedale cittadino, ancora insediato nell’antico ed ormai angusto convento dei Cappuccini.

 

Data creazione: 15-07-2016    |    Data ultimo aggiornamento: 15-07-2016